Coltivazione droga e offensivitą della condotta: Cass. Pen, sez. IV, 02.03.2015 n. 9156

Diritto penale

 

Ritenuto in fatto

S.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Brescia, che, in parziale riforma, della sentenza di condanna del locale Tribunale il 27.03.2012, in ordine al delitto di cui all'art. all'art. 73 d.P.R. 309/90 avente ad oggetto la coltivazione di piante di cannabis, ritenuta l'ipotesi di cui al V comma dello stesso articolo, ha concesso il beneficio della non menzione della condanna.

Si denuncia 1 con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione laddove non è stata accolta la tesi difensiva dell'uso esclusivamente personale della droga, non essendo stato considerato, in diritto, che l'ipotesi di coltivazione per uso personale non costituisce reato; ciò, in quanto non vi sarebbe alcuna lesione al bene giuridico tutelato dalla norma, ovvero la salute pubblica per la irrilevanza del principio attivo contenuto nelle piante di cannabis sequestrate.

Considerato in diritto

2. Il ricorso va accolto.

Va premesso che questa Corte di legittimità ha statuito di recente che la coltivazione di stupefacenti, sia essa svolta a livello industriale o domestico, costituisce reato anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 dei 24/04/2008 Ud., Di Salvia, Rv. 239920).

Ciò premesso, rispondendo alle censure svolte dal ricorrente, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che "Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008 Ud. (dep. 10/07/2008), Di Salvia, Rv. 239921; Cass. Conforme, Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1222 del 28/10/2008 Ud. (dep. 14/01/2009) Nicoletti, Rv. 242371).

In tema di principio di offensività, va osservato che esso può essere riguardato da due punti di vista: come criterio guida per il legislatore e come ausilio per l'interprete nella valutazione della tipicità di una determinata condotta. L'aspetto che qui maggiormente interessa è il principio di "necessaria" offensività del reato, come criterio guida per l'interprete onde valutare la tipicità della condotta.

Come è noto, si ha "tipicità" del fatto, quando questo corrisponde perfettamente alla fattispecie astratta prevista dalla norma incriminatrice. Secondo la più attenta dottrina e giurisprudenza, la mera aderenza dei fatto alla norma di per sè non integra il reato, essendo necessario anche che la condotta sia effettivamente lesiva del bene giuridico protetto dalla norma : non solo quindi "nullum crimen sine lege" ma anche "nullum crimen sine iniuria".

Il principio di offensività deve ritenersi essere stato costituzionalizzato dal nostro ordinamento. A riprova di ciò vi sono gli artt. 25 e 27 Cost. che distinguono tra pene e misure di sicurezza, le prime dirette a colpire fatti offensivi, le seconde, la mera pericolosità del soggetto. Ancora, significativo in tale ottica è l'art. 13 Cost. che consente il sacrificio della libertà (connesso alla pena) solo in presenza della necessità di tutela di un concreto interesse. La necessaria offensività del reato si desume, inoltre, dalla disposizione di cui all'art. 49 c.p., comma 2 che prevede la non punibilità del reato impossibile. Tale norma, lungi dall'essere un inutile duplicato dell'art. 56 c.p. (laddove non prevede la punibilità del tentativo inidoneo), ha una sua propria autonomia sé:, interpretata nel senso di ritenere non punibili quelle condotte solo­ apparentemente consumate e quindi aderenti al tipo, ma in realtà totalmente t deficitarie di lesività secondo una valutazione effettuata "ex post". Dell'esistenza del detto principio vi è traccia sia nella giurisprudenza costituzionale che in quella ordinaria.
La Corte Costituzionale (Corte Cost.'' 360 del 14/5/1995). ha precisato che diversa dal principio della offensività, come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore penale ordinario, è la offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (art. 49 cod. pen.).
Ciò detto e venendo al caso di specie, è da ritenere che il giudice di merito non abbia fatto buon governo dei principi illustrati, laddove ha riconosciuto-'a fronte delle oggettive circostanze del fatto e della sia pure modesta attività,á coltivazione posta in essere (coltivazione domestica di cinque piantine invasate di      dalle quali sono risultate estraibili, grammi 0,1048 di sostanza stupefacente di cui non è stato neanche indicato il principio attivo) denotano una condotta non certamente offensiva dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice. Pertanto la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

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