Fotocopia e falso materiale: Cass. Pen., sez. V, sentenza n. 8870 dep. 27 febbraio 2015 n. 8870

Diritto penale

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del 28 giugno 2011, con la quale il Tribunale di quella stessa città-sezione distaccata di Cesarano, aveva dichiarato F.E.M.P. colpevole dei reati di cui ai capi cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. (per avere formato un atto pubblico completamente falso, costituito da un provvedimento della Soprintrndenza dei beni architettonici e paesaggistici di Lecce in data 13 marzo 2008 con il quale si autorizzava l'esecuzione di lavori di ristrutturazione del fabbricato sito in (OMISSIS) di proprietà di R.C. , atto falso che veniva inviato a mezzo fax alla stessa R. (capo A);
per avere formato un atto pubblico falso, costituito da timbro di deposito di protocollo del Comune di Matino in data 4 ottobre 2007 con relativa firma del funzionario e del numero progressivo 976 con data 26 ottobre 2007 del registro D.I.A. elementi falsamente apposti sulla "denuncia di inizio attività", relativa ai lavori di ristrutturazione edilizia del fabbricato sito in (omissis) di proprietà di R.C. , atto falso che veniva inviato a mezzo fax alla stessa R. (capo B);
e, per l'effetto, ritenuta la continuazione, l'aveva condannato alla pena di giustizia.
2. Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell'imputato, avv. Salvatore Bruno, ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.
Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e difetto motivazionale in relazione all'art. 546 lett. e) cod. proc. pen..
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 606 lett. d) ed e) in riferimento agli art. 476 e 482 cod. pen.; ed inesistenza dell'oggetto del falso ex art. 49 cod. pen., sul rilievo che dalla lettura dei documenti in atti e dalle prove raccolte in dibattimento, l'unica certezza acquisita era che i documenti contraffatti non fossero altro che semplici fotocopie, sulle quali, probabilmente si era intervenuti per modificarle in parte.
Con il terzo motivo si deducono identici vizi di legittimità con riferimento agli artt. 482 e 49 cod. pen., in ordine alla pretesa grossolanità della falsificazione.
Con il quarto motivo si riduce violazione dell'art. 606 lett. b) in riferimento all'art. 163 cod. pen. e difetto motivazionale sul punto, con riferimento al diniego, ritenuto ingiusto, della sospensione condizionale della pena nonché difetto motivazionale anche alla luce delle modifiche apportate dalla legge 14 giugno 2004 n. 145.

Considerato in diritto

1. All'esame delle ragioni di censura giova premettere una succinta puntualizzazione della vicenda sostanziale, nei termini pacificamente risultanti dalle due sentenze di merito.
In particolare, è emerso:
- Il geom. F.E. era stato incaricato da R.C. di curare le pratiche amministrative per la ristrutturazione di un suo appartamento, verso il corrispettivo di Euro 500;
Secondo la ricostruzione accusatoria, il tecnico - al presumibile fine di dar prova di diligente avvio dell'iter amministrativo burocratico - trasmise, da una vicina copisteria, due fax alla committente, riproducenti, il primo, un provvedimento della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesagistici - evidentemente necessario in ragione dell'ubicazione del bene in area urbana sottoposta a vincolo -e, il secondo, una comunicazione D.I.A. (ndr. dichiarazione inizio attività) diretta al Comune di Matino, necessaria per l'avvio dell'intervento edilizio. Entrambi gli atti sarebbero risultati giuridicamente inesistenti.
Donde la contestazione e, poi, la condanna nei due gradi di merito per il reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen..
2. Orbene, la quaestio iuris che si agita attorno alla fattispecie sopra delineata risiede, anche alla luce delle contestazioni difensive, nell'attribuzione ad essa di corretto nomen iuris. Più in particolare, si tratta di stabilire se una fotocopia (cui è evidentemente equiparabile il foglio impresso, proveniente da apparecchio fax ricettore) possa costituire oggetto di falso penalmente rilevante, vuoi nell'ipotesi di giuridica inesistenza dell'originale da cui risulti estratta la copia, vuoi nell'ipotesi di manomissione di un originale realmente esistente, di cui siano contraffatti gli estremi identificativi.
La sentenza impugnata e lo stesso ricorso richiamano un contrasto interpretativo sul punto. Sennonché, a ben vedere, il contrasto è solo apparente e, comunque, non così radicale come ictu oculi potrebbe sembrare, sì da sostanziare, in realtà, un falso problema.
Ed infatti, nella contrapposizione tra l'orientamento positivo (espresso, tra le altre da Sez. 5, n. 40415 del 17/05/2012, Rv. 254632, secondo cui integra il reato di cui all'art. 476 cod. pen. la formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico invero inesistente in originale; Sez. 6, n. 6572 del 10/12/2007, Rv. 239453: in tema di falsità materiale, integra il reato di cui all'art. 476 cod. pen. la formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente, del quale si intenda artificiosamente attestare l'esistenza e i connessi effetti probatori. (Fattispecie in tema di copia di atto di affidamento di incarico per lo svolgimento di attività progettuali retribuite da parte di un'Università; Sez. 5, n. 7566 del 15/04/1999, Rv. 213624: in tema di falsità materiale, la riproduzione fotostatica di un documento originale integra gli estremi del reato, quando si presenti non come tale, ma con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede. (Fattispecie relativa ad un "fotomontaggio", con il quale era stato approntato, in fotocopia, un falso atto costitutivo di società, recante anche l'impronta del sigillo notarile); e quello negativo (Sez. 5, n. 10959 del 12/12/2012, dep. 2013, Rv. 255217: non integra il delitto di falsità materiale la condotta di colui che, in qualità di cancelliere, fuori dall'esercizio delle sue funzioni, formi e produca, in sede di giudizio penale, la copia fotostatica di una circolare interna recante la firma del presidente del Tribunale e autorizzante l'uso di un punzone non regolamentare, in quanto la fotocopia, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l'autenticità, non può integrare il reato di falso anche nel caso di inesistenza dell'originale, perché per sua natura priva di valenza probatoria - ferma restando la possibilità che sia integrato un diverso reato - a meno che essa non sia presentata con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede. (In motivazione la S.C. ha precisato che detta condotta avrebbe potuto configurare il reato di abuso di foglio firmato in bianco se l'atto fosse stato formato direttamente sul foglio in bianco recante la firma autografa del presidente del Tribunale, ipotesi non sussistente nella specie); Sez. 2, n. 42065 del 03/11/2010, Rv. 248922: l'alterazione di copia informale di un atto pubblico non integra il reato di cui agli artt. 476 - 482 cod. pen., che sussiste solo in presenza dell'alterazione di copie autentiche di atti pubblici, né il meno grave reato di cui all'art. 485 cod. pen., che ha ad oggetto la falsificazione delle scritture private. (Fattispecie relativa ad alterazione di fotocopia informale, non autentica, dell'atto pubblico originale; Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep 2008, Rv. 239112: non integra il delitto di falsità materiale (art. 476 e 482 cod. pen.), la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un inesistente provvedimento giudiziario al fine di ottenere una dilazione di pagamento, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall'imputato e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un provvedimento giudiziario originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentativa dell'esistenza di un atto corrispondente.(Nella specie, l'imputato aveva esibito ad una banca la falsa fotocopia di un inesistente provvedimento di custodia cautelare emesso nei confronti di soggetto che l'imputato intendeva far apparire come responsabile di truffa ai suoi danni per ottenere la suddetta dilazione); Sez. 5, n. 4406 del 04/03/1999, Rv. 213125: la copia fotostatica di una ricetta medica, se priva di qualsiasi attestazione che ne confermi la autenticità, non integra il reato di falsità materiale commessa da privato, né altre ipotesi di falso documentale. Infatti, poiché la fotocopia ha, in misura maggiore o minore, l'apparenza dell'originale, la sua formazione non costituisce, in sé, comportamento penalmente rilevante, pur avendo detta copia, in astratto e per la sua verosimiglianza, attitudine a trarre in inganno i terzi. Peraltro chi dovesse fare uso improprio della fotocopia riproducente il documento originale, potrebbe essere chiamato a rispondere del diverso delitto di truffa; Sez. 5, n. 11185 del 05/05/1998, Rv. 212130; non sussiste il reato di falso documentale per inesistenza dell'oggetto ex art. 49 cod. pen., quando la falsificazione ha ad oggetto una copia fotostatica, presentata come tale, atteso che quest'ultima non ha, di per se, valore di documento, e può essere produttiva di effetti giuridici solo se autenticata o non espressamente disconosciuta, secondo quanto previsto dagli artt. 477 cod. pen. e 2719 cod. civ. (Fattispecie di esibizione all'Inps di false fotocopie, non autenticate e disconosciute dall'Inps, di ricevute postali di versamento di somme corrispondenti al debito contestato per contributi non versati); Sez. 5, n. 7717 del 17/06/1996, Rv. 205547: la riproduzione fotostatica di un documento originale non integra il reato di falso quando, nell'intenzione dell'agente e nella valenza oggettiva, l'atto sia presentato come fotocopia, con la conseguenza che se non ne è attestata la conformità all'originale, è priva di rilevanza ed effetti, anche penali; che per contro la fotocopia integra il reato di falsità materiale quando essa si presenta non come tale ma con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno. In tal caso è evidente che sarebbe un non senso parlare di attestazione di conformità all'originale) anche la l'interpretazione contraria lascia salva l'ipotesi che la fotocopia sia presentata con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede. Questo perché la fotocopia, di cui non sia autenticata la conformità all'originale nelle forme di legge, non ha di per sé valenza probatoria, potendo assumere una tale efficacia solo nei casi espressamente previsti dall'ordinamento giuridico. Tipica esemplificazione, in tal senso, è il regime processuale stabilito, per mere ragioni di economia processuale, dalla legge civile, secondo cui, in sede di giudizio la fotocopia, priva di attestazione di autenticità, assume lo stesso valore dell'originale ove non tempestivamente disconosciuta, in virtù del combinato disposto degli artt. 2719 cod. civ. e 215 cod proc. civi. (ai sensi della norma sostanziale, nel testo modificato dall'art. 23 - ora 23-quater dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 - d.lsg. 7 marzo 2005, n. 82 le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime).
Nel caso di specie, dunque, non era in alcun modo ipotizzabile che le copie del fax, prive di qualsiasi attestazione di autenticità e, nella materialità, visibilmente riconoscibili come mere riproduzioni telematiche, potessero essere utilmente utilizzabili a qualsivoglia scopo di legge, tanto meno per l'avvio di una pratica di finanziamento od altro utile impiego.
3. Per quanto precede, l'impugnata sentenza deve essere annulla nei termini di cui in dispositivo per insussistenza del fatto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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